COMUNITA’ LOCALE E RIGENERAZIONE – AGIUDU TORRAU

Comunità locale e rigenerazione. S’agiudu torrau, una pratica tradizionale ma al contempo innovativa per la rigenerazione sociale e comunitaria.

“Rigenerazione” è un termine ormai largamente utilizzato. 

Le nuove necessità del mondo contemporaneo hanno fatto sì che questa parola entrasse nel linguaggio comune, soprattutto degli addetti ai lavori dei reparti cultura e architettura.

Nonostante l’ampia diffusione, nella comunicazione verbale e scritta, si evince la tendenza ad intercambiare erroneamente i termini “rigenerazione” con “riqualificazione”, ritenendoli spesso sinonimi. 

Per brevità, si può riassumere che “rigenerare” significa generare di nuovo o ricostituire parti lese o perdute della condizione iniziale, “riqualificare” significa invece qualificare di nuovo, fornire una nuova o migliore qualifica rispetto alla condizione iniziale. 

In ambito urbano e urbanistico, col termine “riqualificazione urbana” ci si riferisce ad interventi fisici su edifici, aree degradate e parti di città. L’espressione si riferisce al dare nuova qualificazione, attraverso una serie di interventi che definiscono, appunto, nuove qualità.

Il termine “rigenerazione urbana” si riferisce ad un concetto più ampio, poiché include la riqualificazione fisica, oltre che l’interpolazione delle componenti ambientali, economiche sociali e culturali, pertanto un connubio di azioni e componenti pragmatiche e astratte. Fattore determinante della rigenerazione urbana è il coinvolgimento delle comunità interessate alle azioni. 

Uno dei principali fini della rigenerazione urbana è il miglioramento della qualità della vita, nel rispetto dei principi di sostenibilità, inclusione e partecipazione.

 

La rigenerazione urbana costituisce qui un più comprensibile esempio del concetto più ampio di rigenerazione.

 

Se il nostro ragionamento resta ancora focalizzato sul contesto urbano, in fase conoscitiva e di analisi dello stesso, è doveroso considerare le varie componenti che lo abitano e lo costituiscono. Qui, per necessità di sintesi, si prende in considerazione esclusivamente la componente comunitaria. 

Una comunità è un insieme di individui che condividono uno stesso ambiente, fisico e/o tecnologico, e costituiscono un gruppo riconoscibile, unito da vincoli organizzativi, territoriali, linguistici, religiosi, economici e da interessi comuni. La sociolinguista italiana Vera Gheno definisce la comunità come un gruppo di individui, fisico o virtuale, in cui ognuno di essi mette qualcosa in comune. Se l’ambiente di riferimento che li lega è un luogo fisico definito, si parla di comunità locale. 

 

Il processo da seguire per arrivare alla rigenerazione non è schematico e definito. Le vie perseguibili sono varie e possono prendere in considerazione diverse strategie e diversi metodi, e le combinazioni, che sfociano in soluzioni differenti, sono infinite. 

Per perseguire la rigenerazione di un luogo è fondamentale prendere in considerazione la comunità locale, ovvero quel gruppo di individui che vive, su diversi piani, il luogo di riferimento. Le persone che si affezionano al luogo di appartenenza, tendono a prendersene cura nel tempo, sia in senso fisico che da un punto di vista più ampio e astratto. Sentirsi parte di una comunità rafforza i rapporti esistenti, porta alla collaborazione, alla solidarietà, al controllo comunitario.

 

Si ritiene opportuno raccontare un caso specifico, lo studio “Agiudu torrau”, ideato e attuato dalla sottoscritta e presentato al festival Smart Cityness di Urban Center, nel 2021.

Lo studio si pone l’obiettivo di divenire modello, malleabile e adattabile, per la riattivazione delle piccole comunità e la loro rigenerazione. “Agiudu torrau” è un’espressione della lingua sarda, la cui traduzione letterale è “aiuto reso”. Si utilizza perlopiù per lo scambio di prestazioni lavorative. Per facilità si può concettualmente riassumere col termine “baratto”, includendo dunque anche lo scambio di beni.

Al festival Smart Cityness è stato presentato nelle sue due applicazioni parallele che hanno coinvolto due realtà totalmente differenti: il centro abitato di Tertenia, un paese di 3.856 abitanti ubicato nella costa est della Sardegna, e il coworking e spazio creativo di Artaruga, nel centro della città di Cagliari. 

 

Tertenia. Approccio dinamico.

Lo scambio ha interessato perlopiù beni fisici e prestazioni. E’ una pratica che nei piccoli paesi avviene quotidianamente e, potenzialmente, è capace di divenire modello innovativo e funzionale per garantire il benessere degli abitanti, aumentare la qualità dei rapporti di vicinato e il grado di affezione al contesto abitativo.

L’obiettivo dello studio era riattivare, in un momento di isolamento sociale imposto, la comunità di 3 piccoli vicinati, intesi come piccoli raggruppamenti di nuclei familiari dislocati in aree differenti del centro abitato, diversi tra loro per caratteristiche spaziali, paesaggistiche e vocazionali. Rigenerare la comunità locale significava principalmente riattivare i rapporti personali tipici delle piccole comunità, incrementare i rapporti di fiducia e di collaborazione tra vicini di casa e aumentare il senso di appartenenza, fattori che si sono temporaneamente ovattati a causa delle restrizioni di movimento e dell’incremento di utilizzo della tecnologia. 

Nello studio sono stati coinvolti complessivamente 9 nuclei familiari. Nel tempo, gli scambi hanno acquisito una connotazione giocosa, incentivando ulteriormente la loro frequenza, di conseguenza, le interazioni tra gli abitanti dei vicinati. Ad ogni nucleo familiare sono stati consegnati dei moduli cartacei da compilare autonomamente. La scelta del supporto cartaceo e del metodo analogico è stata dettata dalla volontà di rendere il processo il più inclusivo possibile viste le varie fasce di età delle persone coinvolte nel processo.
Lo scambio, così impostato, ha richiesto lo spostamento fisico delle persone attive da un’abitazione all’altra, secondo svariate combinazioni, tracciabili in un grafico finale.

Nei moduli, autogestiti in toto dai partecipanti, come in un diario di bordo, sono stati segnati i giorni in cui è avvenuto lo scambio, i beni oggetto di scambio (lo stesso bene è registrato in entrata dal ricevente e in uscita dal donante) e i nuclei familiari di interesse, oltre che una stima economica approssimativa del bene barattato.
Ciò ha reso possibile, a posteriori, l’analisi della frequenza e dell’intensità delle interazioni, della natura dei beni, del risparmio economico stimato di cui ha giovato ogni nucleo familiare. A conclusione dell’esperienza, ogni partecipante ha ricevuto un questionario composto da 10 domande per valutare l’esperienza e fornire considerazioni e suggerimenti.
Dall’interpolazione dell’analisi dei dati raccolti, delle dichiarazioni orali delle persone coinvolte, dell’osservazione diretta e degli esiti dei questionare è stato possibile trarre le seguenti conclusioni: affinché questo possa definirsi un modello efficace è necessario agire su piccole comunità per rimodulare il piano a seconda delle specificità del luogo. È  fondamentale la presenza di un attivatore/facilitatore che si interfacci direttamente con ogni attore coinvolto. È importante avviare i processi ma successivamente lasciare le persone coinvolte libere di assestare le loro pratiche in modo autonomo.
L’attivatore deve intervenire di tanto in tanto riattivando i processi con interventi inaspettati e in grado di animare il contesto. La gestione di un diario cartaceo a doppio tracciamento, ovvero in entrata e in uscita, del bene oggetto di scambio favorisce un approccio giocoso e anche occasione di sostegno reciproco in caso di difficoltà di compilazione, incrementando il grado di confidenza e fiducia. Per favorire l’inclusività è meglio incoraggiare processi e supporti analogici e diretti anziché tecnologici e indiretti. Importante è pianificare le azioni di scambio per brevi periodi ponendosi micro obiettivi per poi adeguare le proposte successive agli esiti raggiunti e alle volontà degli attori.

 

Artaruga. Approccio statico.

Nel coworking e spazio creativo di Artaruga, nel centro di Cagliari, la comunità locale era composta da coworker e artisti. Nello spazio ricreativo comune è stato affisso un registro cartaceo, riportante data, oggetto dello scambio anonimo e livello di gradimento dello stesso.

In un banchetto sono stati posti degli oggetti e degli alimenti per attivare il processo di scambio. 

Nell’arco di un mese le interazioni indirette sono aumentate, generando l’animazione degli spazi. L’approccio giocoso ha fatto sì che gli scambi cambiassero la loro natura. Da gadget di vario tipo si è passati a frutta, marmellate autoprodotte e vestiti, portando ad un relativo beneficio comunitario. 

In sintesi, dall’unione delle due applicazioni (casa per casa e area ricreativa comune di uno spazio privato), si è pensato ad una prossima applicazione di Agiudu torrau negli spazi pubblici dei piccoli centri abitati. 

 

 

Approfondimento a cura di Paola Corrias

 

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